Il secolo nomade by Gaia Vince

Il secolo nomade by Gaia Vince

autore:Gaia Vince
La lingua: ita
Format: epub
editore: Bollati Boringhieri
pubblicato: 2023-03-28T00:00:00+00:00


Aprire le frontiere

Trovare un luogo adatto alla rilocalizzazione è solo la prima parte di ciò che si deve fare per organizzare la migrazione umana. A differenza degli animali o dei nostri antenati che potevano semplicemente alzare le tende e partire, noi facciamo parte di un complesso ingranaggio sociale che può diventare una gabbia. Per la migrazione umana, in particolare per un trasferimento in massa di questa portata, dobbiamo provare a pensare a come potrebbe svolgersi in termini di territori e confini nel mondo del XXI secolo che abbiamo creato.

La creazione di un insediamento sicuro per centinaia di milioni di migranti potrebbe richiedere l’acquisto forzato, da parte di un nuovo organismo che abbia il consenso internazionale, di terre detenute dagli stati attuali, con un risarcimento e una quota di proprietà nei nuovi centri urbani e nelle loro industrie. Potrebbe richiedere un nuovo tipo di cittadinanza internazionale. Potrebbe significare che gli stati più ricchi, situati alle latitudini più sicure, diventino «stati custodi» per quelli più poveri e vulnerabili, durante il periodo di crisi del riscaldamento globale e fino al ripristino del pianeta. Potrebbe comportare l’istituzione di charter cities, cioè città a statuto speciale, o di stati negli stati, come pure l’estinzione di alcuni degli attuali duecento stati nazionali e il consolidamento dei pochi rimasti in entità geopolitiche regionali. Esistono molte visioni alternative all’attuale status quo degli stati nazionali, dei confini e dei passaporti, che sono, come abbiamo visto, tutte cose relativamente recenti.

L’istituzione di una libertà di circolazione globale, ad esempio, darebbe impulso alle economie nazionali, oltre a salvare o migliorare miliardi di vite. È lecito supporre che l’apertura delle frontiere comporterebbe flussi di persone molto consistenti – le stime variano da pochi milioni a più di un miliardo – e potrebbe aumentare il PIL globale di migliaia di miliardi di dollari.

Tuttavia, l’apertura delle frontiere non significa necessariamente assenza di confini o abolizione dello stato nazionale. Nel breve tempo che abbiamo a disposizione per prepararci a una radicale perturbazione del nostro sistema planetario, non sarebbe saggio stravolgere completamente il nostro sistema geopolitico. In fin dei conti, la maggiore desiderabilità delle destinazioni migratorie che abbiamo individuato si deve in gran parte proprio alla funzionalità degli stati nazionali: le istituzioni, lo stato di diritto, le strategie di investimento, le infrastrutture e altre politiche che li hanno portati a essere economie avanzate in grado di attrarre e trattenere i migranti. Nei paesi ricchi i lavoratori guadagnano di più anche perché vivono in società che hanno sviluppato istituzioni che favoriscono la pace e la prosperità. In poche parole, alcuni paesi sono gestiti meglio di altri.

Dato che quote significative delle popolazioni di alcuni paesi, come i bangladesi o i vietnamiti, si trasferiranno in un’altra nazione, dove in alcuni casi potrebbero superare la popolazione autoctona, queste persone non devono essere semplicemente assorbite nelle strutture politiche autoctone, ma devono essere rappresentate. Se questo viene fatto in maniera attenta e sensibile, attraverso meccanismi legali intelligenti, dovrebbe consentire agli immigrati di sentirsi apprezzati e di mantenere la propria dignità, garantendo al contempo agli autoctoni di non sentirsi estromessi o sopraffatti.



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